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Rimettersi in Gioco, sempre

Non avevamo mai usato un numero come titolo di un album e per evitare il fantomatico “10” ci siamo fermati prima. Forse perché è un multiplo di 3, che è il numero perfetto, come diceva Dante. L’abbiamo scelto anche per non dover trovare un’espressione o una frase che dovesse racchiudere il senso di tutti i brani dell’album, perché sono canzoni che esplodono in tutte le direzioni.
(Pau)

Nessun numero può andare oltre al nove, limite invalicabile a cui ogni individuo si assoggetta nel mondo della materia. I cinesi s’inchinavano nove volte davanti all’imperatore, i vassalli dovevano toccare nove volte il suolo con la fronte davanti ad alcuni popoli africani, Buddha è la nona incarnazione di Vishnu. Per gli ebrei il nove è il simbolo della verità, poiché moltiplicato riproduce sempre se stesso. Chi erano dunque in Negrita alle prese con il nono album della loro carriera?

Nei tre anni precedenti erano stati così tante cose che il rischio era quello di scindersi, di perdere il contatto con la realtà, col mondo, col loro stesso sound. Guardarsi allo specchio senza riconoscersi.

Avevano riempito il Forum di Assago, la Mecca della musica dal vivo in Italia. Radio, TV e giornali se li contendevano, il loro pubblico aveva accettato ogni cambio di rotta, di mentalità ed era pronto a tutto per loro. Erano arrivati, insomma. Ma arrivati dove?

E poi avevano perso anche Frankie, che si era tolto per sempre il camice durante il primo tour semi acustico della loro carriera, l’ennesima sfida con cui si erano presentati ai fan senza filtri, per quelli che erano. Nudi. Una vita senza elettricità era dunque possibile, ma come proseguire senza la sezione ritmica con cui tutto era iniziato? Un prezzo troppo alto per tre amici che, di colpo, si scoprirono disorientati.

In loro aiuto giunsero Guglielmo Ridolfo Gagliano, il “Ghando”, polistrumentista capace di sbalorditivi miracoli elettronici e Jesus Christ Superstar: due figure molto diverse e, per questo, del tutto complementari. Il primo fece capire a Pau, Drigo e Mac quanto il futuro non fosse ancora scritto, mentre il secondo, fattosi nuovamente uomo nella figura di Ted Neeley, che un musical avrebbe potuto portare loro gli stimoli che andavano cercando. Pau si trasformò addirittura in Ponzio Pilato. Prima di lasciarli, Jesus Christ donò loro anche Giacomo Rossetti, giovanissimo e talentuoso bassista, fine umorista, anima affine. Il viaggio poteva così ricominciare. L’album prese quindi vita a Roma, tra una data e l’altra dello spettacolo, poi, con il proverbiale sprezzo del pericolo e la facilità di cadere sempre in piedi che li accomunava ai felini, la nuova formazione si trasferì in Irlanda e lì, tra risate, paranoie e un pizzico di nostalgia per il rock classico, si rimise in Gioco. Ma perché proprio l’Irlanda? Semplice, perché in quei luoghi si ritiene che i gatti abbiano nove vite, due in più che nel resto del mondo. Dannati Negrita, anche quella volta erano riusciti nell’impresa di sopravvivere a se stessi.

foto di Dara Munnis - foto live di Iara Savoia e Giansi Campagnoli